1. Le origini: Francesco e il Sultano
Lo “Spirito di Assisi” affonda le sue radici nel gesto profetico di Francesco d’Assisi che si recò presso il sultano d’Egitto in segno di amicizia e con la gioia nel cuore di annunciare Cristo. Il 24 giugno 1219, festa di san Giovanni Battista, Francesco s’imbarcò ad Ancona, facendo scalo a Cipro e a S.Giovanni d’Acri (presso Haifa, in Israele), da qui s’imbarcò nuovamente per Damiata (o Damietta), roccaforte in riva al mare, che domina sul delta del Nilo, ove arrivò verso la metà di luglio (o di agosto secondo altri storici) accompagnato da molti dei suoi frati. Il 5 novembre assistette alla presa di Damietta da parte dei crociati, rimanendo disgustato della loro sanguinaria cupidigia. Ottenne dal sultano Malik al-Kamil un’udienza che non portò ad alcun risultato, e poi si recò in Palestina dove è probabile abbia visitato il santo sepolcro. Venne poi a sapere che cinque dei frati partiti per il Marocco subirono il martirio
2. L’altro come dono
Francesco ha guardato cum aestimatione il sultano d’Egitto e quei musulmani che adoravano «l’unico Dio, vivente e sussistente, misericordioso e onnipotente, creatore del cielo e della terra, che ha parlato agli uomini»[1]. Sono coloro che cercano, ancora oggi, «di sottomettersi con tutto il cuore ai decreti di Dio anche nascosti, come vi si è sottomesso anche Abramo, a cui la fede islamica volentieri si riferisce. Benché essi non riconoscano Gesù come Dio, lo venerano tuttavia come profeta; onorano la sua madre vergine, Maria, e talvolta pure la invocano con devozione. Inoltre, attendono il giorno del giudizio, quando Dio retribuirà tutti gli uomini risuscitati. Così pure hanno in stima la vita morale e rendono culto a Dio, soprattutto con la preghiera, le elemosine e il digiuno»[2].
Mettendo da parte dissensi e inimicizie sorte tra cristiani e musulmani, san Francesco è stato il primo cristiano «a esortare tutti a dimenticare il passato e a esercitare sinceramente la mutua comprensione, nonché a difendere e promuovere insieme per tutti gli uomini la giustizia sociale, i valori morali, la pace e la libertà»[3]. Questo sguardo profetico di Francesco, benevole e fraterno, simpatico e familiare, verso i musulmani e gli stranieri tutti, riappare oggi come uno dei frutti più importanti del Concilio ecumenico Vaticano II e quale contenuto fondamentale dello “Spirito di Assisi”. Francesco comprese molto bene che l’atteggiamento dell’uomo verso Dio Padre e quello dell’uomo verso gli altri uomini suoi fratelli sono intimamente connessi; perciò, egli sentì il bisogno di stare in pace con tutti gli uomini e di contribuire con la sua testimonianza di vita alla costruzione di una fraternità universale[4]. Consapevole dell’amore di Dio, Francesco non poté non promuovere l’unità e la carità tra gli uomini, e anzi tra i popoli che costituiscono, infatti, una sola comunità. Francesco sapeva che l’Onnipotente ha fatto abitare l’intero genere umano su tutta la faccia della terra e che provvidenzialmente fa camminare tutti i popoli alla sua luce[5]. Dunque, parlare dello “Spirito di Assisi” significa riconoscere nel viaggio di Francesco verso l’Oriente un evento profetico, un anticipo della grande profezia del dialogo tra popoli, religioni, comunità e culture. L’altro è sempre un dono per me, per la Chiesa, per la comunità, per il mondo, una risorsa insostituibile e non una minaccia alla mia, alla nostra, identità o fede.
3. Una vera profezia di pace
L’incontro di Francesco con il Sultano è una vera profezia di pace. È la stessa profezia vissuta da Giovanni Paolo II quando, nel lontano 27 ottobre 1986, invitò tutti i capi religiosi del mondo e degli Stati e delle organizzazioni internazionali ad Assisi per pregare per la pace. Ben sessantadue capi religiosi rappresentanti le più grandi religioni del mondo si ritrovarono nella città di san Francesco a pregare per la pace. Circa duecento invitati speciali, provenienti da tutto il mondo, li accompagnarono condividendone scopi e programmi. Più di trentamila persone accorsero da ogni parte d’Italia per unirsi nella preghiera. Oltre un miliardo di persone ebbe la possibilità di seguire l’incontro per televisione, trasmesso in diretta da ben trentasei paesi. Circa ottocento giornalisti, corrispondenti di tutto il mondo, diramarono l’evento ai quattro angoli della terra. Un evento semplice, proprio come lo stile francescano del luogo esigeva e nello stesso tempo austero. La giornata fu scandita dalla preghiera, dal digiuno, dal pellegrinaggio: valori comuni a tutte le grandi religioni del mondo. Giovanni Paolo II, alla conclusione dell’incontro, ebbe a dire: «Ciò che abbiamo fatto oggi ad Assisi, pregando e testimoniando a favore del nostro impegno per la pace, dobbiamo continuare a farlo ogni giorno della nostra vita. Ciò che, infatti, abbiamo fatto oggi è di vitale importanza per il mondo. Se il mondo deve continuare, e gli uomini e le donne devono sopravvivere su di esso, il mondo non può fare a meno della preghiera. Questa è la lezione permanente di Assisi: è la lezione di san Francesco che ha incarnato un ideale attraente per noi; è la lezione di santa Chiara, la sua prima seguace. È un ideale fatto di mitezza, umiltà, di senso profondo di Dio e di impegno nel servire tutti. San Francesco era un uomo di pace. Ricordiamo che egli abbandonò la carriera militare che aveva seguito per un certo tempo in gioventù, e scoprì il valore della povertà, il valore della vita semplice ed austera, nell’imitazione di Gesù Cristo, che egli intendeva servire. Santa Chiara fu per eccellenza la donna della preghiera. La sua unione con Dio nella preghiera sosteneva Francesco e i suoi seguaci, come ci sostiene oggi. Francesco e Chiara sono esempi di pace: con Dio, con se stessi, con tutti gli uomini e le donne in questo mondo. Possano quest’uomo santo e questa santa donna ispirare tutti gli uomini e le donne di oggi ad avere la stessa forza di carattere e amore per Dio e per i fratelli, per continuare sul sentiero sul quale dobbiamo camminare assieme. Mossi dall’esempio di san Francesco e di santa Chiara, veri discepoli di Cristo, e convinti dall’esperienza di questo giorno che abbiamo vissuto insieme, noi ci impegniamo a riesaminare le nostre coscienze, ad ascoltare più fedelmente la loro voce, a purificare i nostri spiriti dal pregiudizio, dall’odio, dall’inimicizia, dalla gelosia e dall’invidia. Cercheremo di essere operatori di pace nel pensiero e nell’azione, con la mente e con il cuore rivolti all’unità della famiglia umana»[6]. È fortemente viva la memoria del 24 gennaio 2002 quando, nella città di Assisi, ancora Giovanni Paolo II convocò circa duecento leader delle religioni mondiali per chiedere al Dio onnipotente il dono della pace: gli atti terroristici dell’11 settembre 2001 sconvolsero il mondo. I capi religiosi considerarono soprattutto tre impegni per la pace: innanzitutto considerare la pace come dono di Dio da invocare con la preghiera; il desiderio di manifestare solidarietà tra comunità di fedi differenti; l’urgenza di testimoniare l’impegno comune per la pace e la giustizia sia nella convivenza quotidiana sia nelle grandi scelte della vita politica e sociale internazionale. Giovanni Paolo II affermò che le tradizioni religiose posseggono le risorse necessarie per superare le frammentazioni e per favorire la reciproca amicizia e il rispetto tra i popoli. In quella occasione fu pure riconosciuto «che tragici conflitti sono spesso derivati dall’ingiusta associazione della religione con interessi nazionalistici, politici, economici o di altro genere […]. È doveroso, pertanto, che le persone e le comunità religiose manifestino il più netto e radicale ripudio della violenza, di ogni violenza, a partire da quella che pretende di ammantarsi di religiosità, facendo addirittura appello al nome sacrosanto di Dio per offendere l’uomo. L’offesa dell’uomo è, in definitiva, offesa di Dio. Non v’è finalità religiosa che possa giustificare la pratica della violenza dell’uomo sull’uomo […]. Edificare la pace nell’ordine, nella giustizia e nella libertà richiede, pertanto, l’impegno prioritario della preghiera, che è apertura, ascolto, dialogo e ultimamente unione con Dio, fonte originaria della pace vera. Pregare non significa evadere dalla storia e dai problemi che essa presenta. Al contrario, è scegliere di affrontare la realtà non da soli, ma con la forza che viene dall’Alto, la forza della verità e dell’amore la cui ultima sorgente è in Dio. L’uomo religioso, di fronte alle insidie del male, sa di poter contare su Dio, assoluta volontà di bene; sa di poterlo pregare per ottenere il coraggio di affrontare le difficoltà, anche le più dure, con personale responsabilità, senza cedere a fatalismi o a reazioni impulsive»[7].
4. L’invito alla preghiera
L’invito alla preghiera per la pace è il messaggio più profondo che viene da Assisi e dalla forza spirituale di san Francesco riconosciuta dai capi religiosi e dai rappresentanti degli Stati di tutto il mondo. Questo messaggio della pace è la vera profezia di Assisi o anche lo “Spirito di Assisi”. A un mese dell’incontro interreligioso del 24 gennaio 2002, Giovanni Paolo II inviò a tutti i capi di Stato e di governo del mondo una lettera per far conoscere il Decalogo di Assisi per la pace. Nella missiva, Giovanni Paolo II affermò di aver constatato che i partecipanti all’incontro di Assisi furono più che mai animati da una convinzione comune: l’umanità “deve scegliere” tra “l’amore e l’odio”. Il motto di quell’incontro fu: Violence never again! La storia ci insegna, come l’esperienza di Francesco d’Assisi, che solo l’impegno di tutti e di ciascuno può sconfiggere l’egoismo e il sopruso, l’odio e la violenza per imparare che la pace senza la giustizia non è vera pace. Lo “Spirito di Assisi” non celebra il sincretismo religioso, né vuole essere una scuola di diplomazia per la politica internazionale, e non vive di irenismi: rilegge, invece, il carisma di Francesco e dei suoi frati per l’oggi della storia, affermando chiaramente, senza approssimazioni, che la pace è, anzitutto, dono dell’Altissimo e poi impegno-conversione di tutti i credenti, nonché valore non negoziabile. Chi approfondisce lo “Spirito di Assisi” diviene consapevole che è possibile creare una fraternità universale dove gli uomini e le donne di tutto il mondo e di buona volontà possono scoprirsi fratelli e sorelle dell’unico Padre che è nei cieli. Così, il perdono, l’accettazione reciproca, l’impegno comune per i valori profondi della vita umana e per la pace, la salvaguardia del creato, la richiesta del rispetto della libertà religiosa, sono i frutti – nonché “dono e impegno” – dell’unico Spirito che da sempre opera nell’universo e nella storia non solo religiosa del mondo. Alla luce dello “Spirito di Assisi”, ogni discepolo di Gesù e ogni uomo della terra comprende che il dialogo è parte costitutiva della nostra fede, del nostro essere persone create a immagine e somiglianza dell’unico Dio che è Padre di tutti e che in Cristo ci ha reso tutti fratelli! Dunque, sarà in quest’ottica che ci prepareremo a celebrare il prossimo incontro mondiale tra i capi religiosi il 27 ottobre 2011 ad Assisi. Sarà un incontro per invocare sul mondo intero il dono della pace e per affermare, ancora una volta, mai più la guerra!
E. Scognamiglio
[1] NA 3.
[2] Ivi.
[3] Ivi.
[4] Cf. ivi 5.
[5] Cf. ivi 1.
[6] Giovanni Paolo II, Discorso (27-10-1986), nn. 9-10.
[7] Giovanni Paolo II, Discorso (24-1-2002), nn.4-6. Per approfondimenti, cf. E. Scognamiglio, Assisi, profezia di pace, in Asprenas 49 (2002) 565-572.