La gioia di annunciare il Vangelo – Fr Edoardo Scognamiglio
Il Messaggio che papa Francesco ha consegnato a tutti i cristiani lo scorso 8 giugno 2014, solennità di Pentecoste, in occasione della prossima giornata missionaria mondiale, ci fa comprendere chiaramente a quale modello di missione egli s’ispira e cosa effettivamente il vescovo di Roma intende per nuova evangelizzazione.
1. Siamo tutti missionari
Papa Francesco, ispirandosi al Vaticano II e allo stesso Giovanni Paolo II, parte da un dato molto concreto: “oggi c’è ancora moltissima gente che non conosce Gesù Cristo”. Rimane perciò di grande urgenza la missione ad gentes che non è più “roba da preti” in quanto tocca la vita di tutti i membri della Chiesa che è per sua natura missionaria. Papa Francesco riconosce una forza vitale e dinamica – lo Spirito Santo – alle origini dell’essere e dell’identità della Chiesa. Questa, infatti, corpo del Signore, popolo santo, è nata “in uscita”, ossia è per sua natura estroversa, aperta al mondo, orientata verso le genti. Chi scopre il grande tesoro del Vangelo – il Regno che viene in Cristo Gesù – non lo tiene per sé ma impara a condividere tale ricchezza con gli altri. La Chiesa, dunque, non è un orto concluso, ma una casa aperta capace di accogliere tutti e di farsi strada con la gente che cammina sulle strade del mondo. Anzi, ancora di più, la Chiesa è un ospedale da campo pronto a curare le ferite di chi è in battaglia. C’è un agire della fede che non è secondario alla dottrina né al pensare la fede. Credere in Gesù, amare il Vangelo, vuol dire, per papa Francesco, chinarsi sull’altro e testimoniare con la vita la stessa fede professata. Il Vangelo, parafrasando il Poverello d’Assisi, è una vita da compiere, da vivere quotidianamente, come forma del proprio agire e pensare.
La Giornata Missionaria Mondiale è, nella concezione pratica di Bergoglio, un momento privilegiato in cui i fedeli dei vari continenti s’impegnano con preghiere e gesti concreti di solidarietà a sostegno delle giovani Chiese nei territori di missione. Si tratta di una celebrazione di grazia e di gioia. “Di grazia, perché lo Spirito Santo, mandato dal Padre, offre saggezza e fortezza a quanti sono docili alla sua azione. Di gioia, perché Gesù Cristo, Figlio del Padre, inviato per evangelizzare il mondo, sostiene e accompagna la nostra opera missionaria”.
2. Il senso cristiano della gioia
Riprendendo l’Evangelii gaudium, papa Francesco si sofferma sulla gioia di Gesù e dei discepoli missionari, avendo come punto di riferimento il testo di Lc 10,21-23. L’evangelista racconta che il Signore inviò i settantadue discepoli, a due a due, nelle città e nei villaggi, ad annunciare che il Regno di Dio si era fatto vicino e preparando la gente all’incontro con Gesù. Dopo aver compiuto questa missione di annuncio, i discepoli tornarono pieni di gioia. Se ne deduce che la gioia è un tema dominante di questa prima e indimenticabile esperienza missionaria.
Gesù richiama al vero senso della gioia: non per le opere compiute, per il Maligno avversato, o per le conversioni in atto, ma perché i nomi dei discepoli sono scritti nei cieli. La gioia consiste nel compiere la volontà del Padre, nel rendersi strumenti di riconciliazione e di perdono per il Regno che viene.
Il senso cristiano della gioia è condividere l’intimità di Gesù con il Padre mediante il dono dello Spirito Santo la cui forza opera nei discepoli. In effetti, ai discepoli è stata donata l’esperienza dell’amore di Dio, e anche la possibilità di condividerlo. E questa esperienza dei discepoli è motivo di gioiosa gratitudine per il cuore di Gesù. Luca ha colto questo giubilo in una prospettiva di comunione trinitaria: “Gesù esultò di gioia nello Spirito Santo” rivolgendosi al Padre e rendendo a lui lode. La gioia più grande alla quale sono chiamati i discepoli è quella di Gesù in quanto Figlio.
Si tratta di partecipare a quell’intimità che lega Gesù con il Padre.
È una gioia trinitaria. Che cosa ha rivelato e nascosto Dio?
I misteri del suo Regno, l’affermarsi della signoria divina in Gesù e la vittoria su satana.
3. Il modello dell’umiltà
Il metodo missionario inaugurato da Gesù consiste nella mitezza e nella piccolezza. Sono i poveri e gli esclusi i destinatari dell’annuncio del Regno. Essi sono anche i soggetti o i protagonisti dell’evangelizzazione.
Il povero che sperimenta la potenza di Dio, che viene liberato dal male, che è toccato dalla grazia, diventa egli stesso missionario. Si può facilmente pensare a Maria, a Giuseppe, ai pescatori di Galilea, e ai discepoli chiamati lungo la strada, nel corso della sua predicazione.
Riprendendo il testo lucano, il papa rimanda all’esultanza simile di Maria: «l’anima mia magnifica il Signore, e il mio spirito esulta in Dio mio Salvatore » (Lc 1,47). Si tratta della buona notizia che conduce alla salvezza. Maria, portando nel suo grembo Gesù, l’evangelizzatore per eccellenza, incontrò Elisabetta ed esultò di gioia nello Spirito Santo, cantando il Magnificat. Si diventa nuovi evangelizzatori oggi assumendo uno stile mariano di vita e di annuncio. Si è credibili, infatti, solamente nella semplicità, proponendo quell’esperienza di gioia e di salvezza vissuta personalmente. Siamo oggi capaci di proporre questo al mondo? Non è forse vero che a volte, come Chiesa, ci proponiamo agli altri con superbia? Non abbiamo forse dimenticato nell’annuncio la logica del “se vuoi”? Non è forse altrettanto vero che certe nostre opere di carità possono diventare un modo per affermare il nostro dominio sugli altri, soprattutto sui poveri? Non è forse vero che certe nostre comunità parrocchiali sono diventate delle vere e proprie dogane della fede e dei sacramenti?
Da qui il bisogno di entrare in questo fiume di gioia che inondò il cuore di Maria, di Giuseppe, di Elisabetta, dei discepoli. Senza questa gioia non si può annunciare il Vangelo.
Così, denuncia il papa: «Il grande rischio del mondo attuale, con la sua molteplice e opprimente offerta di consumo, è una tristezza individualista che scaturisce dal cuore comodo e avaro, dalla ricerca malata di piaceri superficiali, dalla coscienza isolata» (Evangelii gaudium, n. 2).
4. Una critica per crescere
Papa Francesco sembra individuare una causa molto chiara per la crisi vocazionale in atto nella Chiesa cattolica. “In molte regioni scarseggiano le vocazioni al sacerdozio e alla vita consacrata” per l’assenza nelle comunità di un fervore apostolico contagioso, per cui esse sono povere di entusiasmo e non suscitano attrattiva. La gioia del Vangelo scaturisce dall’incontro con Cristo e dalla condivisione con i poveri. Così, papa Francesco incoraggia le comunità parrocchiali, le associazioni e i gruppi a vivere un’intensa vita fraterna, fondata sull’amore a Gesù e attenta ai bisogni dei più disagiati. Dove c’è gioia, fervore, voglia di portare Cristo agli altri, sorgono vocazioni genuine.
Domandiamoci se nelle nostre comunità, chiese e famiglie si respira aria di pasqua, ossia quella novità della risurrezione che toccò il cuore dei discepoli nell’incontro con il Signore risorto. Chi è veramente felice non può non contagiare gli altri. «La gioia del Vangelo riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù. Coloro che si lasciano salvare da lui sono liberati dal peccato, dalla tristezza, dal vuoto interiore, dall’isolamento. Con Gesù Cristo sempre nasce e rinasce la gioia» (Evangelii gaudium, n. 1).