È il suo sogno. La Chiesa del futuro che Papa Francesco ha a cuore, è questa: “samaritana e povera”. E, come compagni di viaggio non ha accanto a sé solo Francesco d’Assisi, del quale ha preso il nome, ma anche Celestino V, il quale nel corso di soli quattro mesi di pontificato ha dato l’esempio di “povertà, di misericordia e di spogliamento” .
Ad Isernia, sabato 5 luglio 2014, Papa Francesco ha fatto memoria dell’anniversario celestiniano, unendo così la testimonianza dei sue santi: “C’è un’idea forte che mi ha colpito, pensando all’eredità di san Celestino V. Lui, come san Francesco di Assisi, ha avuto un senso fortissimo della misericordia di Dio, e del fatto che la misericordia di Dio rinnova il mondo”.
“Pietro del Morrone, come Francesco d’Assisi –continuava – conoscevano bene la società del loro tempo, con le sue grandi povertà. Erano molto vicini alla gente, al popolo. Avevano la stessa compassione di Gesù verso tante persone affaticate e oppresse; ma non si limitavano a dispensare buoni consigli, o pietose consolazioni.
Loro per primi hanno fatto una scelta di vita controcorrente, hanno scelto di affidarsi alla Provvidenza del Padre, non solo come ascesi personale, ma come testimonianza profetica di una Paternità e di una fraternità, che sono il messaggio del Vangelo di Gesù Cristo”.
Parlava davanti alla cattedrale di Isernia, dove tutto parla di Celestino V Papa Francesco, ed apriva così l’anno giubilare, sottolineando ciò che più lo colpiva: la loro compassione forte per la gente. Questi santi – rilevava- “hanno sentito il bisogno di dare al popolo la cosa più grande, la ricchezza più grande: la misericordia del Padre, il perdono.’ Rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori’. In queste parole del Padre nostro c’è tutto un progetto di vita, basato sulla misericordia. La misericordia, l’indulgenza, la remissione dei debiti, non è solo qualcosa di devozionale, di intimo, un palliativo spirituale, una sorta di olio che ci aiuta ad essere più soavi, più buoni, no.
E’ la profezia di un mondo nuovo – proseguiva – : misericordia è profezia di un mondo nuovo, in cui i beni della terra e del lavoro siano equamente distribuiti e nessuno sia privo del necessario, perché la solidarietà e la condivisione sono la conseguenza concreta della fraternità”.
Nel dichiarare aperta la porta della divina misericordia, Papa Francesco attualizzava così il messaggio dei sue santi di ieri che continuano a parlare agli uomini di oggi: ”Non è una fuga, non è un’evasione dalla realtà e dai suoi problemi, è la risposta che viene dal Vangelo: l’amore come forza di purificazione delle coscienze, forza di rinnovamento dei rapporti sociali, forza di progettazione per un’economia diversa, che pone al centro la persona, il lavoro, la famiglia, piuttosto che il denaro e il profitto. Siamo tutti consapevoli – avvertiva – che questa strada non è quella del mondo; non siamo dei sognatori, degli illusi, né vogliamo creare oasi fuori dal mondo. Crediamo piuttosto che questa strada è quella buona per tutti, è la strada che veramente ci avvicina alla giustizia e alla pace”.
“Aggiornamenti sociali”, la ben nota rivista dei gesuiti di Milano, ha scritto che l’espressione Papa Francesco è un ossimoro, cioè è l’accostamento di due termini dissonanti: la spoliazione che caratterizzo la scelta scalza e penitente del “povero di Assisi” e il “ potere delle chiavi” che è proprio dei pontefici.
Nel perseguire il suo sogno di Chiesa – annotava la rivista dei gesuiti – Papa Bergoglio non poteva rifarsi a nessuno dei suoi predecessori, tant’è che nessuno fino a lui aveva osato chiamarsi Francesco.
Il Papa argentino, allora, si rifà a Celestino V, unendolo a Francesco d’Assisi e leggendo nei due, accostati, la sua idea di Chiesa povera, spogliata.
Dopo 750 anni (l’elezione al papato di Celestino avvenne il 5 luglio, e governò dal 29 agosto fino al 13 dicembre 1294), la scelta povera e controcorrente celestiniana, si presenta ancora, come “profezia di un mondo nuovo”.