E’ stato lungo il percorso che ha portato la chiesa cattolica a realizzare la svolta nei confronti degli ebreie dell’ebraismo. Essi, infatti, non sono più considerati i perfidi giudei, il popolo deicida, ma i nostri fratelli maggiori, come li definì Giovanni Paolo II nella storica visita alla sinagoga di Roma il 13 aprile 1986, la santa radice.
Il Vaticano II, Concilio del dialogo, e la “Nostra Aetate”
Il cambiamento di rotta si affermò ufficialmente con il Concilio Ecumenico Vaticano II, il Concilio del dialogo.Il Documento riservato all’ebraismo è il n.4 della Dichiarazione Nostra Aetate (NA) sulle relazioni della Chiesa con le varie religioni (promulgata il 28 ottobre 1965).
La nuova prospettiva che qui emerge si deve anche all’impegno di Giovanni XXIII che, pochi mesi dopo la sua elezione, intervenne sul testo della liturgia del venerdì santo, abolendo dalla preghiera l’invocazione pro perfidis judeis, benedisse gli ebrei che si recavano in sinagoga passando per il lungotevere (sabato 17 marzo 1962). Egli ricevette in Vaticano l’ebreo francese Jules Isaac, fondatore dell’Associazione ‘Amicizia Ebraico-cristiana’, i cui suggerimenti contenuti in un dossier confluirono nel testo della Dichiarazione Nostra Aetate.
Il Pontefice affidò al Card. Bea il compito di preparare la bozza per una Dichiarazione sul rapporto tra la Chiesa e il popolo ebraico (18 settembre 1960).
Prima di morire Giovanni XXIII approvò il Decreto De Judeis; dopo la sua scomparsa il testo venne ritirato per le proteste di molti Padri conciliari provenienti dalle chiese dei territori arabi, come pure a causa delle critiche dei tradizionalisti.
L’iter successivo dei lavori fu molto travagliato ed il testo sull’ebraismo confluì nel discorso interreligioso, anche se al n.4 si afferma che il rapporto tra cristianesimo ed ebraismo è particolare, perché si tratta di un vero vincolo basato su un patrimonio comune: la chiamata di Abramo, la storia della salvezza, la speranza messianica, le Scritture Ebraiche, che però sono interpretate diversamente dai cristiani.
In NA 4, riprendendo Rm 11, 28-29, si afferma che l’alleanza d’Israele con Dio è basata su una promessa irrevocabile.
Viene anche sottolineata l’ebraicità di Gesù di Nazareth, della comunità primitiva; si afferma esplicitamente che gli ebrei non vanno considerati i maledetti da Dio, il popolo deicida, perché la morte di Cristo non è responsabilità di tutti gli ebrei di allora e tantomeno degli ebrei di sempre.
Da queste premesse teologiche in NA 4 si traggono le conseguenze operative: bisogna avere con gli ebrei delle relazioni positive, fondate sulla stima e sulla reciproca conoscenza, umana e religiosa. Si tratta d’impegnarsi anche nella condanna dell’antisemitismo, che viene deplorato dal Concilio.
Il lungo e difficile dialogo
La NA 4 avviò un processo molto positivo; gli interventi magisteriali successivi svilupparono le premesse del Concilio. Se nella Dichiarazione persisteva ancora una visione ‘cristiana’ dell’ebraismo (l’ebraismo visto in modo funzionale alla Chiesa) con il Documento ‘Orientamenti e suggerimenti per l’applicazione di Nostra Aetate 4’ nel 1974 venne affermato chiaramente che con l’ebraismo non c’è stato un vero dialogo, ma solo un monologo, perché i cristiani non hanno rispettato l’ebraismo nella sua specifica identità, nella sua alterità dal Cristianesimo.
Si afferma pure che nel professare la fede cristologica bisogna anche comprendere le difficoltà degli ebrei verso di essa, poichè mette in crisi il loro monoteismo.
Il discorso sull’ebraicità di Gesù (ed anche di Paolo) è stato sviluppato nel 1985 nei ‘Sussidi per una corretta presentazione dell’ebraismo nella predicazione e nella catechesi ‘(a cura dell’allora Segretariato per l’Unità dei Cristiani).
Qui si rileva che un punto d’incontro fra ebrei e cristiani è l’attesa del Regno di Dio ed è necessario fare catechesi in modo rispettoso verso gli ebrei.
Bisogna anche tener conto della ricchezza dell’ebraismo nel corso della storia, perchè esso non è finito nel 70 d.C. e bisogna conoscere le varie correnti di quello contemporaneo.
I Sussidi invitano i cattolici a comprendere il significato che gli ebrei hanno dato alla shoah (vedi ad esempio le varie filosofie e teologie dell’olocausto).
Il Documento accenna anche alla questione dello Stato d’Israele: “Per quanto si riferisce all’esistenza dello Stato d’Israele e delle sue scelte politiche, esse vanno viste in un’ottica che non è di per sé religiosa, ma che si richiama ai principi comuni del diritto internazionale. Il permanere d’Israele (laddove tanti antichi popoli sono scomparsi senza lasciare traccia) è un fatto storico e segno da interpretare nel piano di Dio”.
E’ da ricordare che già nel 1984 era stato affrontato tale argomento nella Lettera Apostolica Redemptionis Anno (20 aprile 1984), rivendicando per Gerusalemme uno Statuto internazionale, in quanto essa è la città santa per gli ebrei, i cristiani e i musulmani.
La proposta di mediazione di Giovanni Paolo II espressa nella Lettera Apostolica fu quella dello Stato d’Israele per gli ebrei e di una patria per i palestinesi: “Per il popolo ebraico che vive nello Stato d’Israele e che in quella terra conserva così preziose testimonianze della sua storia e della sua fede, dobbiamo invocare la desiderata sicurezza e la giusta tranquillità che è prerogativa di ogni nazione e condizione di vita e di progresso per ogni società. Il popolo palestinese, che in quella terra affonda le sue radici storiche e da decenni vive disperso, ha il diritto naturale, per giustizia, di ritrovare una patria e di poter vivere in pace e tranquillità con gli altri popoli della regione”.
Eventi significativi e superamento di pregiudizi
Nel 1990 il Segretariato per l’ecumenismo e il dialogo della Conferenza Episcopale Italiana istituì la giornata per l’approfondimento del dialogo ebraico-cristiano (17 gennaio).
Il Comitato Internazionale di collegamento cattolico-ebraico (che aveva cominciato ad incontrarsi nel 1987 per elaborare un documento sulla shoah) sempre nel 1990 analizzò il fondamento religioso e secolare dell’antisemitismo e della sua relazione con la shoah.
Un altro evento molto significativo fu l’Accordo fondamentale tra S.Sede e Stato d’Israele, stipulato il 30 dicembre 1993, i cui negoziati erano stati condotti da una commissione bilaterale che aveva lavorato per un anno e mezzo.
Tale commissione continua la sua attività, anche se i risultati procedono molto lentamente.
Nel 1997 Giovanni Paolo II convocò in Vaticano 60 studiosi per approfondire le radici cristiane dell’antisemitismo, cioè l’antigiudaismo.
E’ da segnalare che a tale proposito già nel 1994, nella Lettera Apostolica Tertio millennio adveniente, ai nn. 33-36, il Papa aveva affermato: ”La resistenza spirituale di molti non è stata quella che l’umanità era in diritto di aspettarsi dai discepoli di Cristo”.
La summenzionata commissione il 16 marzo 1998 pubblicò il Documento ‘Noi ricordiamo: una riflessione sulla shoah’. Nel testo si afferma che l’antisemitismo nazista, pur essendo di origine non cristiana, è stato facilitato “dai pregiudizi antigiudaici presenti nelle menti e nei cuori di alcuni cristiani.
Il sentimento antigiudaico rese forse i cristiani meno sensibili, o perfino indifferenti, alle persecuzioni lanciate contro gli ebrei dal nazionalsocialismo quando raggiunse il potere?”.
Ciò si è verificato nonostante che la Chiesa avesse condannato l’antisemitismo con l’Enciclica Mit brennender Sorge di Pio XI nel 1937 e con la Summi pontificatus di Pio XII nel 1939.
Ci sono però stati vari cattolici che hanno messo a repentaglio la propria vita per aiutare gli ebrei. Nella nota 16 del menzionato Documento si citano in merito affermazioni di autorevoli personalità ebraiche che in varie occasioni hanno riconosciuto la saggezza della diplomazia di Pio XII.
Nel 1958, alla morte di tale Pontefice, Golda Meir inviò un messaggio in cui si affermava: “Quando il terribile martirio si abbattè sul nostro popolo, la voce del papa si elevò per le sue vittime.
La vita del nostro tempo fu arricchita da una voce che chiaramente parlò circa le grandi verità morali al di sopra del tumulto del conflitto quotidiano. Piangiamo un servitore della pace”. Nonostante ciò ancora attualmente ci sono numerosi e autorevoli ebrei che ritengono che Pio XII non abbia fatto nulla per fermare lo sterminio ed hanno espresso forti critiche riguardo al suo processo di canonizzazione.
Relazioni più fraterne tra cristiani ed ebrei
Il pubblico riconoscimento delle colpe di noi cattolici nei riguardi degli ebrei venne espresso con un gesto molto significativo di Giovanni Paolo II che, durante l’anno giubilare del 2000, chiese perdono a Dio: “Noi siamo profondamente addolorati per il comportamento di quanti nel corso della storia hanno fatto soffrire questi tuoi figli, e chiedendoti perdono vogliamo impegnarci in un’autentica fraternità con il popolo dell’alleanza” (Cf. Commissione Teologica Internazionale, Documento Memoria e Riconciliazione).
Le relazioni fraterne con gli ebrei che vennero portate avanti da Giovanni Paolo II ebbero una risonanza molto positiva anche nel mondo ebraico, come la già citata visita alla sinagoga e il viaggio in Terra Santa (20-26 marzo 2000).
Benedetto XVI, sin dall’inizio del suo pontificato si è posto in continuità con la linea del suo predecessore, ma si sono creati equivoci che hanno potato a forti critiche da parte di autorevoli ebrei, con l’interruzione del dialogo per un anno da parte del Rabbinato d’Italia. Papa Ratzinger puntualmente ha ufficialmente espresso le debite chiarificazioni, come per la questione della preghiera della liturgia del venerdì santo.
Venti anni dopo il suo predecessore Benedetto XVI ha visitato la sinagoga di Roma , e nei suoi viaggi pastorali, come a Colonia, a New York, a Regensburg, o a Parigi, ha sempre visitato la comunità ebraica.
A Colonia Benedetto XVI nel suo discorso tenuto in Sinagoga ha affermato: “La Dichiarazione conciliare Nostra aetate, pertanto, ‘deplora gli odii, le persecuzioni e tutte le manifestazioni di antisemitismo dirette contro gli Ebrei in ogni tempo e da chiunque’ (4). Dio ci ha creati tutti ‘a sua immagine’ (cfr Gn 1, 27), onorandoci con questo di una dignità trascendente. Davanti a Dio tutti gli uomini hanno la stessa dignità, a qualunque popolo, cultura o religione appartengano… Il nostro ricco patrimonio comune e il nostro rapporto fraterno ispirato a crescente fiducia ci obbligano a dare insieme una testimonianza ancora più concorde, collaborando sul piano pratico per la difesa e la promozione dei diritti dell’uomo e della sacralità della vita umana, per i valori della famiglia, per la giustizia sociale e per la pace nel mondo”.
Un grande rilievo ha avuto il viaggio in Terra Santa (8-15 maggio2009) di Benedetto XVI. Numerosi sono i suoi messaggi rivolti agli ebrei in varie occasioni, come per le loro principali festività, per il giorno della ‘Memoria’, per la giornata del dialogo ebraico-cristiano.
Egli ha incontrato varie delegazioni ebraiche in Vaticano, per cui il Pontefice sta recuperando la fiducia da parte degli ebrei, e le relazioni ufficialmente sono più serene.
prof. Lucia Antinucci
amicizia ebraico-cristiani, Napoli